Il 5 ottobre 2018 è entrato in vigore il Decreto Legge n. 113/2018, meglio noto come Decreto Salvini “immigrazione e sicurezza”. Tale provvedimento ha inciso, tra le altre cose, sull’istituto della cittadinanza, riformando la legge n. 91 del 1992 e fissando norme più stringenti per il conferimento della nazionalità italiana agli stranieri.
Le principali novità riguardano i tempi per l’esame della richiesta di cittadinanza, che passa da 24 a 48 mesi, il costo della presentazione della domanda di cittadinanza, aumentato a 250 euro, l’abrogazione del silenzio assenso delle istanze per matrimonio.
Da ultimo, il decreto introduce nell’ordinamento un’ipotesi di revoca della cittadinanza italiana in caso di condanna definitiva per alcuni gravi delitti quali terrorismo, eversione dell’ordine costituzionale, ricostituzione di associazioni sovversive, partecipazione a banda armata, assistenza associazioni sovversive o con finalità di terrorismo.
Tale misura può essere disposta solo nei confronti dei cittadini che abbiano acquistato lo status civitatis per matrimonio, per concessione ovvero per residenza legale fino alla maggiore età. La revoca è disposta con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno, entro tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna. Mentre per coloro i quali l’acquisto della cittadinanza è intervenuto in seguito all’adozione da parte di cittadini italiani o ancora per una delle ipotesi previste dall’art.4 c. 1 l. n- 91/92, quindi per gli stranieri o apolidi che vantano un’ascendente in linea retta, anche di secondo grado, di nazionalità italiana, la revoca non sarà possibile.
Restano invece invariati tanto i requisiti necessari ad avanzare la richiesta di cittadinanza quanto i documenti da allegare alla stessa.
Di particolare interesse, con riferimento alla nuova normativa è l’abrogazione del silenzio-assenso delle richieste di cittadinanza per matrimonio.
Di fatti l’art.8, comma 2, legge n. 91 del 1992 così recitava: “l’emanazione del decreto di rigetto dell’istanza è preclusa quando dalla data di presentazione dell’istanza stessa, corredata dalla prescritta documentazione, sia decorso il termine di due anni“.
Sulla scorta di tale articolo nel corso degli anni si era formata pacifica giurisprudenza secondo cui, trascorsi inutilmente due anni dalla presentazione dell’istanza, lo straniero diventava titolare di un vero e proprio diritto soggettivo a vedersi riconosciuta la cittadinanza italiana, diritto che poteva essere vantato dinanzi al giudice ordinario. (si vedano: Cass. Civ., Sez. Unite, Sentt. 7-7-1993, n. 7441 e 27-1-1995, n. 1000; T.A.R. Lazio Sez. II Quater 28/3/07 n. 2727)
Mentre, l’art. 14 del decreto sicurezza, lettera a), stabilendo che “all’articolo 8, il comma 2 è abrogato”, concede alla pubblica Amministrazione il potere di denegare in qualsiasi momento la concessione della cittadinanza senza possibilità alcuna che si formi il c.d. “silenzio-assenso”.
Con riferimento alla vigenza della legge se non si pongono dubbi in merito alle domande presentate successivamente all’entrata in vigore del Decreto in epigrafe, o alle domande che in tale data non avevano oltrepassato i due anni, incerta rimane la posizione di chi al 4 ottobre 2018 aveva già maturato il diritto al riconoscimento della cittadinanza italiana per l’inutile decorso del termine di 2 anni previsto dalla previgente normativa.
Secondo parte della dottrina la questione va affrontata in relazione al medesimo art. 14 del decreto sicurezza, il quale prevede che “Le disposizioni di cui al comma 1, lettera c),” ovvero il nuovo termine di 48 mesi “si applicano ai procedimenti di conferimento della cittadinanza in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto”.
Ebbene ai sensi della disposizione succitata riconoscere come acquisita la cittadinanza per i richiedenti la cui pratica, al 4 ottobre 2018, aveva già oltrepassato il limite di 2 anni, appare inconciliabile con il nuovo termine di 48 mesi fissato retroattivamente per tutti i procedimenti ancora in corso.
Nonostante quanto detto la retroattività del termine di cui sopra pone non pochi dubbi di legittimità.
Posto infatti che lo status di cittadino italiano risulti essere irrevocabile una volta acquisito, la retroattività del termine di 48 mesi, previsto dal Decreto, porrebbe in essere una vera e propria revoca dello status che come su ricordato è irrevocabile.
Per avere una risposta certa sulla questione sarà però necessario aspettare le prime pronunce giurisprudenziali sulla questione.